Ha esordito e vinto, appena maggiorenne, con il Penarol. Con la “Celeste” dell’Uruguay ha giocato un mondiale (Giappone-Corea 2002) e segnato al Brasile il gol partita in un match di qualificazione. È stato scelto dai “galacticos” del Real Madrid. Eppure, quelle che potrebbero sembrare le tappe fondamentali della carriera di un predestinato, nascondono un’altra verità. Perché il personaggio in questione è Federico Magallanes. Proprio lui, quel capellone che in Italia giocò con Atalanta, Venezia e Torino. L’uruguaiano dal ruolo indefinito (esterno/ala/seconda punta/centravanti) che non sfiorò mai la doppia cifra nella classifica marcatori ma che, in compenso, centrò una doppia retrocessione consecutiva, in veneto prima e in maglia granata poi.
Eppure i suoi primi passi, in Uruguay, avevano attirato l’attenzione di molti. Quando fa il suo esordio con il Penarol di Montevideo non ha ancora 18 anni. Si ritaglia parecchi spazi in prima squadra, dal ’94 al ’96 scende in campo per 34 volte e segna 10 reti, contribuendo anche alla vittoria di un titolo di apertura. È così che l’Atalanta si accorge di lui e per 3,5 miliardi di lire lo porta alla corte di Mondonico. Nella stessa sessione di mercato (estate 1996) i bergamaschi prendono, in comproprietà dal Parma, anche un certo Filippo Inzaghi. Bastano pochi giorni di ritiro e SuperPippo scavalca nelle gerarchie il “talento” sudamericano. Il “Mondo”, come tutti gli altri allenatori che lo hanno avuto, fa fatica a comprendere dove Magallanes possa rendere al meglio. Così inizia il campionato e l’Atalanta vola con il trio Morfeo-Inzaghi-Lentini, tanto che sarà proprio il centravanti italiano a vincere la classifica dei marcatori. A Federico restano le briciole: appena 11 presenze e un solo gol, al 90’ segna l’1-0 contro il Verona. Una rete che, con un pizzico di esagerazione, lo porterà a dire: “Ho dimostrato di essere il più forte”.
L’anno successivo Inzaghi va alla Juventus ma per lui la storia non cambia, 2 gol in 13 presenze. L’avventura italiana sembra già essere al capolinea e la sua carriera al punto più basso, eppure arriva la chiamata che non t’aspetti: lo cerca il Real Madrid. Incredibile, il club dei galattici bussa alla porta dell’Atalanta per un’attaccante da 1,5 gol all’anno. La società bergamasca, ovviamente, non oppone resistenza e Magallanes, assieme al suo procuratore Paco Casal (lui sì, vero fuoriclasse), firma il contratto che sognava fin da bambino. Sulla panchina dei blancos siede Guus Hiddink, gli bastano pochi allenamenti per capire che forse sarebbe meglio puntare su gente come Raul, Mijatovic, Suker e Morientes. Neanche il tempo di iniziare che Federico si ritrova al Racing Santander, dove farà quasi peggio che in Italia (17 presenze e un gol). In patria, però, ha ancora qualche estimatore e viene convocato per la Copa America 1999. L’Uruguay arriva fino alla Finale in cui perderà 3-0 col Brasile. Magallanes, però, è decisivo sia nei quarti che nella semifinale: la Celeste arriva in entrambe le occasioni ai rigori ed è sempre lui a calciare il tiro decisivo della serie.
Finalmente trova nuovi stimoli e comprende, a 24 anni, di essere a un punto decisivo della sua carriera, così decide di tornare in patria, al Defensor Sporting. Si carica la squadra sulle spalle e con i suoi gol (21 in 32 presenze) la porta stabilmente tra i primi 3 posti della classifica. L’eco delle sue gesta arriva sino in Italia, lui ha una voglia matta di far ricredere il calcio tricolore e ci ricasca (assieme ai dirigenti italiani). Il Venezia diZamparini per guadagnarsi la salvezza punta su di lui. È carico: «Sono ritornato in Italia per prendermi la rivincita». Sarà la sua stagione più prolifica in Serie A, tuttavia i suoi 5 gol non serviranno a salvare i lagunari. L’anno dopo è al Torino e viene presentato con toni tanto entusiastici quanto privi di ogni fondamento.Attilio Romero, presidente del Toro, dice di lui: «E’ un devastatore di fascia sinistra, un cocktail fra Best, Meroni e Gento». Federico rincara la dose e risponde stizzito a chi evidenzia la confusione riguardo la sua posizione in campo: «Dove giocherò? Deciderà Camolese ma io posso giocare ovunque, perché i grandi giocatori possono giocare ovunque. Questo sarà l’anno della mia consacrazione». E poi: «I derby sono bellissimi e ora tocca al Toro vincere. Ho già segnato un gol a Buffon. Spero di fargliene altri». Ancora una volta le eccessive aspettative e il suo scarso spirito di autocritica finiranno per seppellirlo: non segnerà nessun gol a Buffon, il Toro non vincerà il derby e finirà in Serie B.
Trova di nuovo un ingaggio, in Spagna, al Siviglia: un anno di contratto più opzione per il secondo, rigorosamente non esercitata dopo 5 presenze e il solito, unico, e malinconico gol. Persino l’Albacete B (che milita in terza divisione spagnola) lo scarta. Nel 2004-2005 è tesserato per l’Eibar, seconda divisione spagnola. L’anno dopo per il Dijon, terza serie francese. A quel punto decide di ritirarsi ma, in realtà, i motivi che lo portano ad appendere le scarpe al chiodo hanno poco a che vedere con i crudeli verdetti del campo. C’è chi sostiene che Federico non ne possa più del suo procuratore Paco Casal e del sistema che gli ruota attorno. La rottura definitiva arriva nel 2005, quando sta per acquistare un terreno in Spagna. Proprio mentre sta ritirando in banca la somma di cui ha bisogno lo avvisano che ci sono problemi. Dopo qualche giorno, e una telefonata furiosa con il suo agente, la situazione si sblocca ma Magallanes è nauseato dalla situazione e torna in Uruguay senza nessun ingaggio. Sta un anno fermo e poi ci ricasca: ancora Spagna, in Segunda Division al Merida, suo ultimo domicilio conosciuto. Al termine della stagione a Federico verrà riconsegnato il cartellino, per l’ottava volta viene svincolato e inserito in lista gratuita. Lui, che per qualche giorno era stato “galactico”.