Carsten Jancker – Il fallimento del “modello” Udinese

Non solo Sanchez, Handanovic, Asamoah e Pizarro. Il tanto decantato “modello Udinese” ha portato in Italia anche calciatori di cui la Serie A avrebbe fatto tranquillamente a meno. Uno su tutti: Carsten Jancker. Quel centravanti tedesco – pelato, alto e grosso – che non aveva il vizio del gol.

Il club di Pozzo lo acquista nell’estate del 2002 dal Bayern Monaco, e forse è proprio la prestigiosa provenienza che illude i tifosi friulani che, si fa per dire, hanno potuto apprezzare il Panzer tedesco anche nei mondiali di Corea e Giappone. Fatto sta che al momento dell’atterraggio in Italia Jancker è un nome più o meno conosciuto anche se nessuno può dire di averlo mai seguito con attenzione e insistenza. Quindi per lui parla il palmares: 1 campionato austriaco con il Rapid Vienna, mentre con il Bayern vince 4 edizioni della Bundesliga, 2 coppe di Germania, 4 coppe di lega, 1 Champions League nel 2000-2001 e la Coppa Intercontinentale nel 2001. Eppure la sua soddisfazione più grande rischia di materializzarsi proprio nella serata più amara della sua carriera, e forse dell’intera storia del Bayern Monaco. Il 26 maggio 1999, al Camp Nou di Barcellona, si gioca la finale di Champions League tra i tedeschi e il Manchester United. I bavaresi vanno in vantaggio nel primo tempo grazie a una punizione procurata da Jancker e trasformata in gol da Mario Basler. Nel secondo tempo i Red Devils cercano la rete del pari ma il Bayern va vicinissimo al raddoppio in più di un’occasione, una di queste vede protagonista proprio il pelatissimo Carsten: mancano infatti una manciata di minuti al termine quando Jancker si trova, spalle alla porta, solo e a pochi passi dalla rete. In una frazione di secondo decide che è arrivato il suo momento di gloria, vuole far calare il sipario sulla partita più importante dell’anno con un gesto tecnico e atletico che non gli appartiene: il gol in rovesciata. La sua esecuzione non è delle più aggraziate, si accascia pesantemente al suolo mentre uncina con il piede destro il pallone che, tuttavia, sembra aver superato Schmeichel ed essere destino a baciare la rete. Invece sarà la traversa a ridestare Jancker dai sogni di gloria e ricacciare la sfera in gioco. Di lì a poco il Bayern cadrà sotto i colpi di Sheringham (primo minuto di recupero) e Solskjaer (terzo e ultimo minuto di recupero) che porteranno la coppa con le grandi orecchie a Manchester.

La Champions riuscirà a vincerla nella finale di Milano del 2001, contro il Valencia, ai rigori (lui entrerà nel secondo tempo ma ovviamente non verrà mandato sul dischetto). Ma la sua ultima stagione in Baviera (2001/2002) ha quasi dell’incredibile: non segna nemmeno un gol, eppure Rudi Voeller lo convoca ugualmente per il Mondiale nippo-coreano che vedrà la Germania sconfitta solo in finale dal Brasile (2-0 con doppietta di Ronaldo). Ma il fato vuole che Jancker segni uno degli 8 gol all’Arabia Saudita nell’esordio tedesco. E quello che sembra un segno del destino resterà un banalissimo episodio isolato. Ma è quanto basta per convincere L’Udinese ad offrirgli un ingaggio. Il 24 luglio la Gazzetta dello Sport, nelle pagine di mercato, titola: “Meglio Jancker di Bierhoff l’Udinese aggiusta l’attacco”.  Nell’articolo si legge: “L’ Udinese ha scelto. Il suo nuovo centravanti è Carsten Jancker, 28 anni il prossimo 28 agosto, che i Pozzo hanno preferito all’ex Oliver Bierhoff, un po’ perché non amano i cavalli di e perché l’ex Bayern, in virtù dei sei anni in meno, offre maggiori garanzie fisiche e tecniche”. Vengono svelati anche alcuni retroscena che fanno capire quanto la scelta fosse convinta: “ieri mattina il direttore generale dell’Udinese Pier Paolo Marino, accompagnato dal presidente Franco Soldati, è volato a Monaco con l’aereo personale di Gian Paolo Pozzo. «Mi porti Jancker»,l’ordine perentorio dell’azionista di maggioranza”. A missione compiuta Marino dichiarerà: «Sono felice perché abbiamo centrato quello che, sin dall’ inizio, era il nostro obiettivo di mercato». L’allenatore di quell’Udinese, Luciano Spalletti, dirà: «Abbiamo preso un giocatore che ha le stesse caratteristiche degli ultimi attaccanti dell’ Udinese. Sono convinto che il ragazzo abbia ancora grandi stimoli e possa fare bene». A queste premesse si aggiungono anche le parole di Karl-Heinz Rummenigge, secondo cui «Jancker è meglio di Bierhoff perché sa usare anche i piedi». Eppure con l’avvicinarsi dell’inizio del campionato qualche dubbio si fa largo. Il 7 settembre la Gazzetta titola: “Sarà un panzer tedesco a risolvere i problemi?”. Lui accetta la sfida e rilancia: «Avevo la possibilità di andare a giocare anche altrove, ma ho scelto l’Italia perché la consideravo la soluzione migliore da punto di vista professionale».

Eppure la prima stagione non dà ragione a nessuno, il suo impatto sulla Serie A è praticamente insignficante: 19 presenze e un solo gol. Non va meglio l’anno dopo: 16 presenze e un gol che sarà decisivo per l’1-0 sulla Reggina. Eppure, nonostante l’importanza della rete, l’inviato della Gazzetta dello scrive: “Gol di Carsten Jancker, colosso tedesco, detto il Boscaiolo per la mole e per i colpi d’accetta con cui è solito colpire la palla”. Di lui non ne possono più né Spalletti né Pozzo che sbotta: «Ho avuto tanta pazienza col tedesco, adesso basta: ci sta prendendo in giro, evidentemente è venuto in Italia a fare il turista». Jancker prova a rispondere: «Con la Sampdoria ho giocato male, ma come tutta la squadra, e comunque le considerazioni di Pozzo non mi interessano». Ma a inizio 2004 chiederà e otterrà, ovviamente, la rescissione del contratto e vola in patria, al Kaiserslautern. Lì, in una stagione e mezzo, segnerà solo 4 reti.

Nel 2006/’07 va in Cina, allo Shanghai Shenhua (attuale squadra di Drogba e Anelka) e gioca 7 partite senza mai segnare. Alla fine chiude la carriera in Austria al Mattersburg. Attualmente allena la squadra under 15 del Rapid Vienna. Più volte, ma senza riscontri oggettivi, è stato accusato di avere simpatie neonaziste. La polizia postale tedesca ha rintracciato e chiuso alcuni siti internet di naziskin che inneggiavano proprio a Carsten Jancker. Non per le sue doti tecniche, piuttosto per la sua imponente figura tipicamente ariana.

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